Ho appena portato il cucciolone folle a fare ciò che gli spetta di prima mattina. Sotto casa c’è un grande parcheggio dove di giorno i pendolari per Roma lasciano la macchina per prendere il treno e di notte succede di tutto, si vende e si compra, si beve, si fuma, si buca, si litiga e si fa l’amore, si corre con il motorino, si sistema la macchina propria e si ruba la macchina altrui. Poi se ne va, lasciando dietro il ricordo del proprio passaggio, diurno o notturno che sia, nella forma di una montagna esoterica di rifiuti, spazzatura e sporcizia varie che viene pulita un mese sì, un mese no. Questo è il mese no.
Insomma, non è il massimo per iniziare il giorno come si deve. Così, mentre seguo distrattamente il cucciolone, non pongo opposizione se la mente si decide di sfuggire lo squallore e rifugiarsi in una mattina qualsiasi fra i miei monti, a casa nostra naturalmente.
L’ultimo giorno prima di tornare ad Ostia, sono uscita prima dell’alba per fare quattro passi tranquilli con Volo lungo la stradina che porta all’eremo di Santo Spirito, insandalata, senza né zaino, né macchina fotografica, cammino a passo leggero ma col cuore pesante.
Non è la mia intenzione di proseguire a lungo, ma i piedi hanno altra idea. Girano con decisione a destra, giù per il sentiero che oltrepassa il torrente nel fondo della vallata per arrivare alla confluenza con ciò che per me sarà sempre il torrente della Spugna Gigante. Ma invece di risalirlo, giro di nuovo a destra (una direzione che non mi viene istintiva) lungo il sentiero che si addentra nel faggeto.
Ieri sera ha piovuto. Odore di terra bagnata, di funghi, di autunno. I passi cadono sul tappeto di foglie di faggio bagnate poi si rialzano senza spezzare il silenzio. Cammino con i sensi fuori dalla pelle. Ci fermiamo nello stesso preciso istante, io e il cucciolone folle. Insieme alziamo la testa per fiutare. Odore di bestia. Più in alto, un sasso si distacca e rotola giù. Un rametto si spezza. Poi un altro… un cinghiale solitario si staglia per un attimo contro la roccia. Tutti e tre fermi a guardarci negli occhi. Poi con grande schiamazzo il cinghiale sfugge e sparisce. Il silenzio si richiude dietro il suo passaggio. Il cuore corre. Non è paura. Non è assolutamente paura. Qualcosa di primordiale, vecchia quanto la roccia stessa. Sospesa in un tempo che sconfina quello degli uomini, respiro in ritmo con i movimenti della Terra. Vita pura.
Il primo raggio di sole si affaccia all’orlo della vallata. Esita, raccoglie le sue forze e si lancia giù attraverso il fogliame per posarsi tremando sull’avambraccio, prima di ripartire inseguito da un soffio di brezza giocherellone. In lontananza, l’abbaio secco di un capriolo. Il silenzio l’accoglie e l’assorbe senza rompersi.
Riprendo il cammino. Il sentiero decide passo e percorso, inserendosi con destrezza fra i tronchi, arrampicandosi agilmente fra le rocce, scivolando giù per fossa e forra e soffermandosi in piccole pozze di luce per raccogliere gocce di sole dalle ragnatele. E porta con esso i miei piedi insandalati che lo seguono senza fatica lungo il fianco ricurvo della montagna fino ad uscire dalla penombra della foresta per trovarmi nelle radure e vecchi campi della prossima vallata, gambe bagnate di rugiada, ricoperte di petali di maggiorana e graffiate da rovi che esigono un pedaggio di sangue, poi si fanno perdonare dissetandomi con piccole more aspre di bosco.
Che ora sarà? Quanto avrò camminato? Non sono domande che appartengono né a quel momento, né a questo. E quanto sono rimasta? Rimango lì ancora, aspettando che il tempo mi raggiunge e riunisce l’adesso con l’allora.
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...come fai a starci lontano??? pensa la bellezza quando ci tornerai,la bellezza di tornare tutti assieme..il tempo può rendere in certi casi tutto più emozionante..anche se è dura aspettare..
